Competizione a scuola: stress per il 75% degli studenti

Ci aiuta la psicologa Sara Sainaghi: quattro segnali da riconoscere e cinque cose da fare. L'allarme è dell'Unicef


Ansia da competizione a scuola. È allarme tra i ragazzi della secondaria di II grado e dell’ultimo anno di secondaria di I grado. Il 75% degli studenti ha (sempre o spesso) episodi di stress causati dalla scuola. Oltre 4 studenti su 10 si sentono inadeguati per la competizione in classe e quasi due su dieci imparano più difficilmente a causa di questo. Sono i dati di un sondaggio - Scuola e Benessere: Oltre l'ipercompetizione e l'omologazione- fatto da Unisona Live e Unicef, patrocinato dal Comune di Milano e dal ministero dell'Istruzione e del Merito. “E’ frutto del grande male di oggi: il perfezionismo. Se giochi a tennis devi diventare Sinner, se vai a scuola devi avere tutti nove e dieci. Si guarda e si giudica solo il risultato. E questo è un carico troppo difficile da gestire, soprattutto in adolescenza”, spiega Sara Sainaghi, psicologa e psicoterapeuta familyfriendly.  

ANSIA DA COMPETIZIONE A SCUOLA: NE SOFFRE IL 75% DEGLI STUDENTI DI TERZA MEDIA E DELLE SUPERIORI.

Perché c’è tanta competizione a scuola?

Sainaghi: Parte già alle elementari, dove se arrivi che non sai leggere e scrivere sembri “strano”. Ti è richiesto di dover saper fare, appena entri a scuola. La competizione in classe, questa difficoltà a tenere i ritmi e gli standard alti, è figlia del perfezionismo. Siamo in un mondo dove è richiesta sempre una performance altissima e dove non è ammessa l’imperfezione. I social, ma anche la famiglia e la scuola avvolgono i ragazzi in un contesto demanding e critico. Bisogna essere belli, bravi e non sbagliare mai. Questa ricerca del perfezionismo irraggiungibile porta a non riuscire a stare bene a scuola.

Ma la competizione non è anche uno stimolo?

Sainaghi: Un po’ di competizione sana va bene, se intesa come dare il meglio di quello che si può in termini di impegno. Oggi invece si guarda solo al risultato e sempre in confronto con l’altro, più che con se stessi. L’imput è: bisogna sempre essere migliori del vicino. Lo spirito di collaborazione, ognuno mette il proprio pezzetto, non c’è e la scuola di oggi non lo valorizza.

Ci sono segnali che i genitori possono cogliere per capire se il figlio soffre di ansia da competizione a scuola?

Sainaghi: Ci sono segnali che fanno capire che un ragazzo ha un disagio. Sono segnali aspecifici, che i genitori dovrebbero cogliere e comprendere a quale disagio si riferiscono. Ma in generale si deve fare attenzione a quattro aspetti:

  • “Non sono capace…”, “non riesco…”, “non capisco”. I ragazzi di solito verbalizzano così l’ansia scolastica, con frasi che sottolineano una prospettiva di insuccesso e scarsa autostima. Se queste parole sono ripetute spesso, allora è bene allertarsi.
  • Il menefreghismo non è sempre menefreghismo. Quando i figli tendono a procrastinare, a mollare, non hanno voglia, trascurano, vivono nella costante risposta “non fa niente …” “non mi importa...”. Ecco a volte è vero che c’è il cosiddetto menefreghismo adolescenziale, ma spesso invece questo atteggiamento è un modo di nascondere un sentire di fallimento e di non essere abbastanza bravi.
  • I cambiamenti forti. Mangia di più, mangia di meno, sta più chiuso in sé, esce di più o di meno... Cambiamenti importanti e che durano nel tempo devono fare pensare….
  • I mali ricorrenti e inspiegabili. Ci sono poi i sintomi frequenti: mal di testa o di pancia senza spiegazioni, sonno disturbato, irritabilità, crisi di pianto giustificate con un “non lo so perché”. La non connessione causa-effetto dovrebbe spingere i genitori ad andare a fondo.

Cosa possono fare i genitori per aiutare a combattere l’ansia da competizione a scuola?

Sainaghi: Il motto è: la torta perfetta viene dopo dieci torte bruttine e bruciate. Aiutiamoli così:

  • Guarda in modo critico il mondo, a partire dai social. Spiega e insegna che lì si mette la decima torta, quella che viene bene e non le dieci fatte prima e che hanno dei difetti.
  • Sposta l’attenzione sul processo più che sul risultato. Sottolinea la fatica, l’impegno, il lavoro che si impiega per fare la torta. Nella vita va valorizzato il processo più del risultato.
  • Ammetti la possibilità di errore come possibilità di imparare e basta al perfezionismo. La torta bella e buona non viene al primo tentativo. Anche noi genitori siamo vittime di questa società che non ammette errori e chiede la perfezione. Abbandona l’idea dell’essere umano capace di tutto: la mamma h24 che è anche professionista e intanto si tiene in forma e si prende cura di tutto e tutti. È impossibile. Riconoscilo e fallo vedere e insegnalo ai tuoi figli. Ognuno ha il suo punto di forza e non può eccellere in tutto.
  • Prova a ristrutturare la fatica in termini cognitivi. Se ogni due giorni c’è: “posso non andare domani a fare la verifica perché ho mal di testa?” O se la telefonata dalla scuola per “il mal di pancia” è ogni due giorni. Ecco allora dai voce tu al suo disagio. “Ho la sensazione che questa scuola sia faticosa. Cosa ne pensi di fare un gradino alla volta. Se la guardi come una scala con una vetta da raggiungere non ci arrivi, ma se facciamo un passo alla volta sì”. Verbalizzare la fatica e guardare un pezzo alla volta è la strada
  • Attenzione ad assecondare. Il cambio di scuola va bene se è un’assunzione di responsabilità, non una fuga dalla fatica. Il rischio è che il ragazzo la viva come un fallimento e un colpo alla propria autostima. Il trasferimento va fatto non “perché non sono bravo, non sono abbastanza per questa scuola”, ma perché “ho scelto una scuola che non va bene per me, che non sviluppa le mie potenzialità”.

 

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Pic by Andrea Piacquadio on Pexels

 


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