Festa della donna: la parità di genere in Italia è ancora lontana

L'Italia è al 63esimo posto della classifica mondiale per riduzione del "gap di genere". Tante donne laureate, poche occupate e spesso con par time involontari. Le più penalizzate sono le madri. Tutti i numeri del divario


Come sono messe le donne in Italia in questo 8 marzo 2022?  Per la prima volta nella storia, il nostro Paese è guidato da una premier donna, Giorgia Meloni. E anche il partito dell'opposizione ha un leader donna, Elly Schlein. La parità di genere, però, rimane un miraggio.

In questo 8 marzo crediamo sia importante condividere i numeri di questo divario che riguardano molti campi

Parità di genere: nessun Paese al mondo ha colmato il "gender gap". Italia al 63esimo posto della classifica mondiale 

Secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum, che dal 2006, ogni anno, misura lo stato e l'evoluzione della parità di genere in quattro ambiti (economia, istruzione, salute, politica), nel 2022: 

  • nessuno Paese al mondo ha colmato il divario di genere. Se continuiamo con questa velocità di progresso, per raggiungerla ci vorranno 132 anni (la stima prima del 2021 e dalla pandemia era che fossero necessari 100 anni);

 

  • complessivamente nel mondo si è chiuso il 95.8% del divario di genere in salute, il 94.4% del divario in istruzione, il 60.3 del divario economico (inteso come partecipazione e opportunità per le donne) e il 22% del divario in politica e rappresentanza. L'Europa, con una riduzione del gender gap del 76.6% è seconda solo al Nord America (76.9%) tra i Paesi più avanzati sulla parità di genere;

 

  • l'Italia, in questa classifica globale di 146 Paesi, si colloca al 63esimo posto con una riduzione del divario di genere pari al 72%, tra Zambia e Tanzania, e lontana da Paesi i come Islanda (90%), Finlanda e Norvegia (86%), Svezia (82%), Germania (80%).

 

Occupazione femminile: in Italia le donne guadagnano il 16% in meno degli uomini e il 32,4% delle donne occupate lavora part time, in molti casi senza volerlo 

La partecipazione economica delle donne emerge come l'aspetto più critico per l'Italia. Infatti:

 

  • secondo l'Istat il tasso di occupazione femminile nella popolazione tra i 15 e i 64 anni nel 2018 è stato pari al 49,5%, un valore praticamente stabile da 10 anni. Il corrispondente tasso maschile è del 67,6%.

 

  • il basso tasso di occupazione femminile contrasta con i dati sull'istruzione: secondo il Censis le laureate italiane nel 2019 sono pari al 56% del totale e le donne rappresentano la maggioranza (59,3%) anche negli studi post laurea. Le donne prevalgono nelle lauree non STEM (due su tre laureate) e inseguono gli uomini che prevalgono (59%) nei percorsi STEM secondo la rilevazione 2018 di AlmaLaurea.

 

  • quando lavorano, le donne guadagnano meno degli uomini. Secondo Eurostat, le donne europee guadagnano circa il 16% in meno degli uomini. In Italia il divario è minore, sotto il 10%, ma bisogna considerare che quando il tasso occupazionale è basso, come in Italia, c'è una selezione maggiore e lavorano solo le donne più istruite. Nel 2018, il 32,4% delle donne italiane occupate lavora part time contro l'8% degli uomini. Secondo una stima dell'Istat, il 60% del part time è involontario. 

 

  • secondo l'stat le donne in posizioni manageriali in Italia sono il 27% del totale, e nelle posizioni manageriali il gap di genere legato al reddito sale al 23%.

 

Maternità e lavoro: le donne pagano una "child penalty" in termini di occupazione e di stipendi

La scelta di avere un figlio penalizza le donne sul mercato del lavoro. Infatti:

  • il tasso di occupazione delle madri tra i 25 e i 64 anni (dati Istat 2019) è del 54,5% contro l'83,5% dei padri. 

 

  • la "child penalty" (ossia il costo sul mercato del lavoro della nascita di un figlio) impatta sulle madri e non sui padri. Secondo uno studio INPS 2020 la nascita di un figlio determina per la donna una riduzione delle probabilità di continuare a lavorare e una perdita reddituale nei 24 mesi successivi alla nascita. Non c'è da stupirsi che nel nostro Paese circa il 30% delle donne abbandoni il lavoro dopo la gravidanza. 

 

  • la conciliazione lavoro-famiglia è strettamente legata all'accesso ai servizi di cura per i bambini e per gli anziani (dai nidi alle case di riposo, dai campus estivi ai servizi di pre e post scuola) e da politiche aziendali che favoriscono il lavoro agile, incentivino la condivisione delle responsabilità familiari tra uomo e donna e prevedano programmi di sostegno al rientro in ufficio dopo la maternità. In Italia, secondo FederAnziani, il 71% dei caregiver è donna.

 

 

 

 


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