Genitori separati: alienazione parentale e coordinatore genitoriale
Laura Massaro e Ginevra Pantasilea Amerighi sono due nomi ormai noti. Sono due mamme che da anni hanno “perso” i figli, allontanati perché accusate di alienazione parentale. Sono oltre 500 (dati associazione Maison Antigone che si occupa di supportare donne vittime di violenza) i bambini allontanati da mamme con l’accusa di alienazione parentale. “Il termine viene coniato a metà anni 80 negli Stati Uniti da Richard Gardner. La teoria, priva di presupposti clinici, di validità e di affidabilità, non è mai stata riconosciuta dalla comunità scientifica e la Corte di Cassazione lo scorso 17 maggio 2021 ha richiamato in modo molto severo i CTU a non usare nelle consulenze genitoriali teorie che non abbiano basi scientifiche, in pratica a non usare “l’accusa” di alienazione parentale” in tutti quei casi nei quali il genitore non collocatario dei minori ha difficoltà nel vedere i figli”, spiega subito l’avvocato Maria Grazia Di Nella, dello Studio Legale familyfriendly Di Nella. Ma cosa è la Pas (sindrome da alienazione parentale) e come funziona? E cosa sono i coordinatori genitoriali che intervengono in alcune separazioni?
ALIENAZIONE PARENTALE: COSA E’, COME FUNZIONA E QUANDO VIENE USATA
Cosa è la sindrome da alienazione parentale?
Per sindrome da alienazione parentale o sindrome della “madre malevola” si vuole identificare una dinamica psicologica malata per cui un genitore (di solito la mamma) condizionerebbe negativamente i rapporti del figlio con l’altro genitore (il padre) attraverso una seri di comportamenti volti a emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale e della sua famiglia. Il genitore collocatario (quello cioè con cui vive la maggior parte del tempo il bambino di separati/divorziati e che è quasi sempre la mamma) inizierebbe a frapporre sempre più scuse per ostacolare la visita all’altro genitore o smette di informare l’altro su aspetti importanti della vita dei figli, o ancora inizia una politica denigratoria a danno dell’altro genitore con il solo scopo di metterlo in cattiva luce davanti ai bambini. Questi atteggiamenti, secondo parte della psicologia, sarebbero causa dell’insorgere nel minore della patologia denominata “sindrome di alienazione parentale”, identificata allorquando il figlio conteso tra due genitori manifesta comportamenti oppositivi nei riguardi del padre perché spinto dalla madre. Tale giustificazione è stata usata spesso negli ultimi anni dai padri per identificare una compromissione psichiatrica nelle madri e arrivare a chiedere ai giudici l’allontanamento dei figli da madri che “causerebbero nei bambini la negazione della figura paterna”. Ancor più grave la situazione allorquando la conflittualità della coppia è tale da integrare situazioni di vera e propria violenza domestica: spesso le donne che hanno denunciato i mariti si sono trovate in questi anni a dover poi rispondere all’accusa di alienazione parentale e ad affrontare l’allontanamento dei figli. Per comprendere la gravità della situazione occorre anche tenere presente le conseguenze sui minori di tale ipotizzata “sindrome” poiché i minori allontanati per alienazione parentale spesso vengono inseriti in Comunità nel periodo iniziale di riavvicinamento all’altro genitore.
Giuridicamente come avviene l’accusa di alienazione parentale e allontanamento dei figli dalla madre?
Il genitore non collocatario (che di solito nelle separazioni è il padre) accusa la mamma di non essere più adeguata all’educazione dei minori perché manipolatoria, di essere causa della sua difficoltà di vederli ovvero del loro diniego totale alle visite e ad avere un rapporto continuo con lui fino ad arrivare ad accusare la mamma di ipotetiche patologie psichiatriche. Il giudice, verificata l’effettiva assenza di rapporti tra i figli e il genitore non collocatario, non può che nominare un Consulente Tecnico per valutare e osservare la relazione dei figli con ciascun genitore. Il Consulente Tecnico è uno psicologo/neuropsichiatra forense specializzato nei problemi dell’infanzia e dinamiche genitoriali. Facendo richiamo a questa teoria sono tante le decisioni dei Tribunali finite con l’allontanamento dei figli dalla madre, il collocamento temporaneo in Comunità dei minori e l’affido esclusivo dei minori al padre a definizione del procedimento.
Ma come si “diagnostica” la presenza di alienazione parentale?
Venuta meno la coppia genitoriale, nell’ambito di separazioni altamente conflittuali, non è raro che i figli si “alleino” con uno dei due genitori e solitamente con il genitore che avvertono più debole e che si prende cura di loro, la madre. Ma questo non può portare alla automatica conseguenza di identificare la “Sindrome di alienazione parentale” ogni qual volta i figli rifiutino la figura paterna. Molteplici e molto complesse potrebbero essere le cause, non ultima quella di essere stati spettatori di molteplici episodi di violenza paterna a carico della madre. Proprio per la complessità del fenomeno e la mancanza di basi scientifiche, la teoria identificata con l’acronimo PAS non è mai stata riconosciuta dalla comunità psichiatrica e la sindrome è stata esclusa dal novero dei disturbi psichiatrici accertati e mai inserita nel manuale di riferimento psichiatrico DSM5, redatto e periodicamente aggiornato dall’American Psychiatric Association.
Dopo molteplici pronunce di allontanamento la Cassazione anche recentemente (17 maggio 2021) ha ribadito che la teoria dell’alienazione parentale è priva di base scientifica e ha richiamato i consulenti tecnici incaricati dai giudici di attenersi ai protocolli riconosciuti dalla scienza ed evitare di uscire dalle linee guida. Questo richiamo è talmente essenziale che anche il disegno di legge per la riforma del processo civile che è alla Camera dei Deputati chiede espressamente che il Giudice debba tenere conto di eventuali episodi di violenza e deve garantire che gli eventuali incontri tra i genitori e i figli siano se necessario accompagnati dai Servizi Sociali ed il Consulente Tecnico incaricato di valutare le competenze genitoriali, debba attenersi a protocolli e metodologia riconosciuti dalla comunità scientifica, senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee gli stessi.
A questo punto cosa può fare una mamma che si vede oggi accusata di alienazione parentale o che ha perso i figli per questo?
Le madri che si sono viste allontanare i figli per un collocamento Comunitario ovvero perché affidati al padre in via esclusiva, potranno chiedere una modifica delle attuali condizioni di affido e collocamento dei minori insistendo perché sia nominato un curatore speciale del minore e sia disposta una nuova Consulenza Tecnica sulle competenze genitoriali.
COORDINATORE GENITORIALE: CHI È E QUANDO PUO’ INTERVENIRE NEI CASI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Il coordinatore genitoriale è un Consulente Tecnico?
No, il coordinatore genitoriale è un professionista che viene “consigliato” alla coppia genitoriale per ritrovare la comunicazione bloccata e quindi per evitare di arrivare alla necessità che il Giudice ritenga indispensabile valutare le competenze genitoriali attraverso la nomina di un tecnico. Normalmente viene raccomandato a quelle coppie che arrivano in udienza in forte conflittualità o portando una difficile gestione dei figli (comunicazione solo messaggi e non parlano o parlano solo tramite i figli…). Il giudice lo consiglia e si riserva all’esito di predisporre la consulenza tecnica. Oggi la consulenza tecnica può arrivare a costare anche 10/12 mila euro alla coppia genitoriale contando che nella maggioranza dei casi oltre al Consulente incaricato dal Giudice ogni genitore nomina un professionista di sua fiducia. Il Collegio di e professionisti arriva a costare quella cifra che pagano i genitori perché mai pagata dallo stato neppure nei casi di gratuito patrocinio. Questo è un altro motivo per il quale sempre più spesso o Giudici consigliano alla coppia di affidarsi ad un coordinatore genitoriale.
Chi è e che poteri ha il coordinatore genitoriale?
È un facilitatore della comunicazione tra i due genitori e quindi ha come finalità quella di rendere più efficace la gestione condivisa dei figli; ha il potere di sentire figli e quindi mette il minore al centro. Possono ricoprire tale ruolo gli avvocati, i mediatori famigliari, gli educatori, gli assistenti sociali. Non c’è ancora un Albo professionale ma è richiesto la certificazione che viene rilasciata da Corsi di formazione organizzati nel rispetto delle Linee Guida Internazionali di AFCC. Alcuni corsi chiedono frequenza per 50 ore di lezione altri 120 ore per arrivare ad avere il titolo.
Ci si augura che venga sottoscritto anche a livello nazionale un protocollo con regole severe di accesso, perché sono professionisti che lavorano con e per i bambini. Devono lavorare sul ritorno alla comunicazione dei genitori per il bene dei minori. Che potere e ruolo hanno? In alcuni Tribunali (per esempio Monza) il coordinatore genitoriale è considerato un ausiliario del Giudice e quindi il Giudice può regolamentarne l’attività e chiedere aggiornamenti (come fosse consulente tecnico). In altri Tribunali (ad esempio Milano) è invece considerato un professionista liberamente incaricato dai genitori quindi il Giudice non può avere contatti con il professionista ma solo attendere la relazione finale; il rapporto è tra coordinatore genitoriale e genitori.
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