Affido: una famiglia si racconta

Affido Professionale: la storia di Chiara, di M, e di una famiglia che cresce


Chiara, suo marito e i loro due bimbi sono “cresciuti”. Sono stati per due anni una famiglia affidataria e vivere con M. li ha aiutati a capirsi e ad affrontare in modo nuovo la vita e la vita in famiglia. Parla con molta soddisfazione Chiara nel raccontare la sua esperienza all’interno del servizio Affido Professionale. Racconta a Radiomamma di due anni intensi e impegnativi, ma molto costruttivi.

AFFIDO PROFESSIONALE A MILANO

Il progetto è coordinato dalla provincia di Milano in collaborazione con quattro cooperative del privato sociale (Comin, Cbm, La grande casa, Afa), associate in ATS Affido Professionale (Associazione Temporanea di Scopo). Il progetto partì in via sperimentale nel 2002, all’interno di uno specifico finanziamento della legge 285/97 per la promozione dei diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza. Alla fine della sperimentazione, nell’agosto del 2006, il progetto è diventato stabile e il Servizio Affido Professionale da allora è attivo a tutti gli effetti sul territorio di Milano e Provincia.

Cominciamo dalla vostra esperienza. Cosa ha significato per voi vivere con M. per due anni?


Siamo molto contenti della scelta che abbiamo fatto, noi come coppia e i nostri figli. Siamo molto cresciuti, sono stati due anni molto intensi e impegnativi che ci hanno fatto scoprire aspetti della nostra personalità nuovi che non conoscevamo. Abbiamo colto che spesso nel quotidiano ci arrovelliamo per problemi di poca rilevanza, dimenticando gli aspetti essenziali della vita. In questo periodo di affido abbiamo decisamente rimesso al posto giusto ciò che conta dando meno importanza a ciò di cui si può fare a meno. Abbiamo voluto bene a M. e lei ne ha voluto a noi. Come noi ha potuto beneficiare dell'incontro con noi "genitori affidatari" e con i nostri figli, costruendo insieme un pezzetto della sua storia di vita che forse grazie a questa esperienza avrà un futuro più luminoso.
 

Cosa succede durante l’affido?
 

Ti occupi della crescita personale ed affettiva del bambino che accogli. Noi avevamo diversi impegni settimanali con la nostra M.: la seduta dalla psicologa, l’accompagnamento alle visite con i parenti, l’affiancamento allo studio. Ma il compito più importante è stato quello di farle sperimentare un ambiente familiare sereno dove il ruolo del genitore e quello dei figli non sono confusi, dove si parla e ci si confronta sugli aspetti importanti del quotidiano, dove la coppia si sostiene e si supporta nelle fatiche di ogni giorno e dove si ha fiducia uno nell’altro e non si fanno le cose di nascosto. M. è stata una sorella per i mie figli, ha costruito nel tempo con noi un solido legame ed è riuscita a superare delle grosse difficoltà che aveva nei confronti dell’affetto e dell’amore coniugale.
 

Dopo 2 anni basta?
 

Due anni è il tempo sufficiente (definito per legge) nel quale un bambino può fare un’esperienza familiare significativa. In alcuni casi il progetto è stato prorogato di un anno, in un altro caso la famiglia affidataria è uscita dal progetto per portare avanti con lo stesso bambino un affido volontario classico fino al diciottesimo anno di età, in altri casi il bambino rientra in famiglia o viene inserito in un’altra famiglia affidataria fino alla maggiore età. In ogni caso questo è un progetto ponte, che serve a traghettare il minore verso un’esperienza definitiva. Dopo il periodo di affido i contatti vengono mantenuti. Molte famiglie del nostro gruppo sono alla loro terza esperienza di affido…
 

Quali requisiti deve avere la famiglia affidataria?
 

Può essere il single, la coppia coniugata o convivente, con o senza figli, con un’età minima di 25 anni, massima di 60 anni. Bisogna essere residenti nella provincia di Milano o nelle vicinanze.
 

Come si diventa affidatari?
 

La famiglia interessata, dopo aver segnalato la propria disponibilità, aver ricevuto informazioni e partecipato al gruppo informativo (organizzato circa ogni due mesi), intraprende un percorso di conoscenza e valutazione con un'assistente sociale e una psicologa, per riflettere sulle personali disponibilità, risorse e motivazioni. Successivamente l'adulto che ha più tempo a disposizione diventerà "referente professionale".
 

Perché “professionale”?
 

Il “referente professionale” del progetto sottoscrive un contratto a progetto, con una delle cooperative dell’ATS, che prevede un compenso economico mensile.
Al referente viene richiesto di seguire un percorso di formazione (8 incontri), di garantire un’adeguata disponibilità di tempo e di lavorare in rete con gli altri soggetti coinvolti. La formazione punta a sviluppare nel referente la capacità di osservare, ascoltare, ed interrogarsi sul significato di certi messaggi anche non verbali del minore per comprenderlo e quindi intervenire affettivamente ed educativamente nel modo più adeguato.

 

E a quel punto?
 

La famiglia entra a far parte del gruppo delle famiglie affidatarie (che si trova una volta la mese) e da quel momento in poi può ricevere una proposta di abbinamento (accoglienza di un minore).
 

Tempi lunghi quindi?
 

Nel nostro caso avevamo fatto il primo incontro informativo ad Aprile, a Maggio dell’anno successivo avevo terminato il percorso formativo. Credo sia stato il tempo sufficiente per elaborare una scelta che va presa considerando bene le proprie risorse e i propri limiti, e ben consapevoli che ci saranno delle difficoltà da affrontare. Ci vuole quindi una forte motivazione non solo personale ma anche familiare.
 

I bambini e i ragazzi affidati quanti anni hanno?
 

La fascia di età è molto ampia, dal neonato al diciassettenne.
 

Chi decide qual è l’accoppiata giusta?
 

Esiste un’equipe tecnica formata dai tutor e da un supervisore (psicologo) che mette insieme le caratteristiche del bambino con quelle delle famiglie disponibili e decide quale sia la famiglia più adatta a rispondere ai bisogni del minore.
 

Nel vostro caso come è andata?
 

Noi saremmo stati più inclini ad accogliere bambini che avessero un’età compresa tra quella dei nostri due figli (1 e 6 anni), invece ci hanno proposto di accogliere M. che di anni ne aveva 10. Le motivazioni per le quali hanno deciso di farci questa proposta ci hanno subito trovato d’accordo: M. aveva bisogno di potersi “concedere” di giocare come una bambina di 6 anni e di poter vedere come si accudisce un bambino piccolo, esperienze a lei mancate nel corso della sua infanzia. Inoltre avevano identificato in noi una coppia sufficientemente solida da poter reggere eventuali provocazioni.
 

Per tutta la durata dell’affido a sostegno della famiglia affidataria c’è il tutor, come funziona?
 

La figura del tutor nella mia esperienza è stata fondamentale. Il tutor è una persona esperta in tema di affido sulla quale sai di poter contare in ogni momento e che di fronte ad episodi particolarmente pesanti ti supporta e ti aiuta dandoti anche indicazioni pratiche per agire nel modo più adeguato. Ti aiuta inoltre a “leggere” e comprendere i gesti e gli agiti del bambino alla luce della sua storia; senza una corretta interpretazione degli eventi avremmo rischiato tante volte di agire nel modo sbagliato.
 

C’è rapporto con altre famiglie del progetto?
 

Una volta al mese si partecipa ad un incontro di gruppo in cui fanno parte altre famiglie che hanno fatto la stessa scelta di accoglienza, è uno spazio in cui si condividono le gioie e le fatiche dell’affido e in cui ti prepari ad affrontare situazioni che magari altri hanno già affrontato nel corso del loro affido. L’incontro è gestito da due tutor. E’ un altro momento molto importante di sostegno e uno spazio in cui ti rendi conto di non essere solo.

Per info : www.affidoprofessionale.it

 


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