Festa della donna: il lavoro emotivo che genera la disuguaglianza di genere

Non è semplice stanchezza! Il libro inchiesta "Emotional Labor" di Rose Hackman fa luce su un fenomeno invisibile che, da problema, potrebbe trasformasi in strumento per la parità. Specie in tempi di IA. Ecco come..


Sai quella sensazione di arrivare a sera completamente priva di energia? Guai a scambiarla per semplice fatica, per stanchezza. “È un lavoro, emotivo, che quotidianamente ci si aspetta dalle donne e che è una delle cause della disuguaglianza di genere”, avverte Rose Hackman, autrice di Emotional Labor, The invisibile work shaping our lives and how to claim our power, edito da Flatiron Books. Un libro inchiesta (lunga sette anni) che in pochi mesi ha generato un’ondata di attivismo al femminile partita da TikTok e rilanciata da testate prestigiose come il Guardian, il Washington PostBuzFeed, Fast Company, BBC

Già perché Hackman (qui nella foto di Next Big Idea Club), giornalista inglese di stanza negli Stati Uniti con un master in Diritti Umani alla Columbia University, suggerisce che, proprio a partire dal lavoro emotivo, possiamo mettere mano alla disuguaglianza di genere e porre le basi per un nuovo paradigma del vivere sociale nell’era dell’automazione e dell’intelligenza digitale. 

Radiomamma l’ha intervistata in occasione dell’8 marzo, quando, stando ai numeri, per le donne c’è poco da festeggiare: secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum, il livello di disparità di genere globale nel 2023 è pari al 68,4% e, se andiamo avanti così, saranno necessari 131 anni per colmarlo. 

 

Come spiegherebbe cos’è l’emotional labor, o lavoro emotivo, a una bambina di oggi?  

“È l’aspettativa che tu viva e ti comporti in un certo modo: aggiustando e controllando le tue emozioni per far sentire bene gli altri, mettendo il tempo, le esperienze e il benessere degli altri davanti ai tuoi. È l'aspettativa sproporzionata nei confronti di bambine, ragazze, donne, mogli e madri e il conseguente lavoro emotivo che ci viene chiesto di fare tutti i giorni. In casa, per esempio, quando da una mamma ci si aspetta che si occupi di tutta l’organizzazione familiare o che trasformi il suo lavoro full time in part time. Sul lavoro, quando da un’infermiera ci si aspetta che sia gentile e cortese con i pazienti oltre a medicarli. Per strada, sui mezzi pubblici, quando un estraneo ti suggerisce di sorridere…. È un lavoro invisibile che tuttavia, proprio come quello fisico, intellettuale e creativo, richiede tempo e capacità per essere svolto”.

 

Perché ci si aspetta il lavoro emotivo soprattutto dalle donne?

“Saper gestire le emozioni non è una prerogativa di genere.  Però fa comodo continuare a trasmettere l’idea che le donne siano creature emotive, al contrario degli uomini che sono razionali, e che per questo siano più adatte ad essere empatiche e sensibili. Da qui la richiesta, estenuante e continua, di performare il lavoro emotivo a casa, a scuola, sul lavoro. Ma la verità è un’altra: tanti studi sulle neuroscienze e la psicologia dimostrano che l’empatia non è collegata alla biologia ma, piuttosto, alla motivazione e alla pratica. Il lavoro emotivo è una forma di disuguaglianza che è stata ignorata troppo a lungo”.  

 

È possibile misurarla? 

“Basta pensare ai cosiddetti pink collar job, i lavori svolti prevalentemente da donne, per esempio l’insegnamento: se una maestra, da un giorno all’altro, si limitasse all’insegnamento di una materia senza pensare a come sta un alunno, a qual è la sua situazione familiare, ad essere gentile oltre che competente nei colloqui con i genitori, immediatamente si direbbe che non stia svolgendo un buon lavoro. Ma lo stesso accadrebbe a una manager che, in azienda, oltre a fare il suo mestiere, di colpo smettesse di sorridere o di frenare e correggere le sue emozioni a beneficio di capi e colleghi. Nel 2020 Oxfam ha calcolato che il lavoro non retribuito dei caregiver genera per l’economia globale 10.8 trilioni di dollari l’anno, una cifra tre volte superiore a quella generata dall’industria Hi-tech e pari alle entrate delle 50 più grandi aziende del Fortune 500. L’unità di misura che più spesso si utilizza per misurare questa disuguaglianza è il monte ore di lavoro non retribuito, ma adesso andrebbe aggiunto anche un calcolo sulle energie emotive spese dalle donne”. 

 

Bisognerebbe eliminare il lavoro emotivo, rifiutarsi di compierlo?

“Bisogna, innanzitutto, riconoscere che questo lavoro, invisibile, è fondamentale per la nostra società e per la nostra economia. Bisogna capire che, nell’era dell’Intelligenza Artificiale, con tanti lavori intellettuali che vengono automatizzati, quello emotivo diventa ancora più importante. È la parte fondamentale di tantissimi mestieri che ChatGPT non potrà mai sostituire. Riconoscerlo come un lavoro, e come una ricchezza, avrebbe un impatto positivo sia sul singolo sia sulla società. È poi necessaria una sua redistribuzione, perché non può pesare solo sulle donne. Oggi la distribuzione del lavoro emotivo è collegata al potere: ci si aspetta che, chi ne ha di meno, aggiusti continuamente le sue emozioni e il suo comportamento per far stare bene chi ne ha di più. Serve un radicale cambio di paradigma che ponga il lavoro emotivo al centro e non ai margini del nostro sistema di valori. Serve imparare a dire dei no, serve un grande lavoro di alfabetizzazione emotiva”. 

 

Per approfondire il lavoro di Rose Hackman 

IG @rose.hackwoman

TikTok @rose.hackman


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Immagine del libro Emotional Labour e della sua autrice Rose Hackman
Rose Hackman, autrice del libro Emotional Labour edito da Flatiron Books

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