Scuola: cos'è e come funziona l'apprendimento personalizzato

Negli Usa, il personalized learning è considerato strumento principe per innovare l'insegnamento. A Milano, la scuola primaria Nuova Educazione lo mette in pratica tutti i giorni. Ecco come 


“Che progetto abbiamo per questo bambino?”. Gulp! Ma è con una Preside che sto parlando, ti chiedi incontrando Michela Lovati alla Nuova Educazione, scuola paritaria dell’infanzia e primaria nel cuore di Milano. Primo, perché quella a cui la Preside da voce è la domanda che tante volte, da genitore, hai posto a presidi e insegnanti senza ottenere risposta. Secondo, perché Lovati sostiene che dobbiamo porci questa domanda sia davanti a un bambino che mostra una difficoltà sia davanti a un bambino che vorrebbe imparare di più e più in fretta dei compagni. “Fermarsi alla denuncia di una fragilità o di un talento particolare non ci porta da nessuna parte: il nostro compito di insegnanti è di essere in continua ricerca educativa per arrivare a ogni bambino e per dargli valore come singolo e nel gruppo scoprendo cosa gli interessa, qual è il suo stile di apprendimento e come possiamo accompagnarlo nel suo percorso di crescita insieme alla famiglia”. 

 

Nel mondo anglo sassone lo chiamano personalized learning, o apprendimento personalizzato. E sono in molti a indicarlo come un ingrediente fondamentale per la riforma della scuola. Come si costruisce, nella pratica quotidiana? 

“Con un’osservazione attenta e continua per capire, innanzitutto, qual è il metodo di apprendimento più adatto a ogni bambino: sono le immagini? La lettura? Il racconto? È una scoperta che si fa insieme, a scuola. Poniamo, per esempio, di dover imparare la lettera “a”: iniziamo col mostrarne l’immagine, quindi, proponiamo ai bambini di riprodurla con il proprio corpo, poi di ricrearla con la creta, poi associamo il suono e solo alla fine gli alunni la scrivono. Osservando i bambini capiamo in quale fase e con quale strumento acquisiscono e consolidano la conoscenza. Fondamentale è anche il tipo di didattica. Nella nostra scuola, dove le classi sono formate da massimo 20 studenti, partiamo sempre da ciò che il bambino sa e dal coinvolgimento del gruppo, l’insegnamento frontale è molto raro”.

 

Può fare un esempio, lezione di geografia in terza elementare…

“Immaginiamo di voler parlare di montagna. Per prima cosa chiediamo a ogni bambino quello che sa sull’argomento, qualcuno parlerà dei colori, qualcuno dell’altitudine, qualcuno degli animali e dei fiori. Tutto quello che viene detto, in forma di brainstorming, è scritto sulla lavagna luminosa. Il passo successivo è chiedere a ciascun bambino di tornare a casa e di pensare a cosa ama di più della montagna per poi raccontarlo ai compagni. Quando si torna in classe c’è una condivisione con gli altri delle proprie scoperte, chiediamo ai bambini come si sono informati, che tipo di ricerche hanno fatto. Sono loro a insegnare ai compagni, è il meccanismo della classe capovolta che rafforza l’autostima, che spinge anche i più timidi a proporsi e che ci consente di stimolare chi apprende più velocemente ad approfondire un argomento portando qualcosa di speciale in più a tutto il gruppo. Da questo lavoro di condivisione nascono poi mappe concettuali, cartelloni, ricerche. I libri ci sono, ma non sono mai il punto di partenza della lezione. La nostra scuola si chiama Nuova Educazione perché ha un metodo che, da più di  40 anni, continuamente si rinnova. Con l’introduzione del coding e della robotica, per esempio, che allenano fin da piccoli al pensiero computazionale.  E con un lavoro, già nella scuola dell’infanzia, sul mito e sulla natura che va a toccare le emozioni degli alunni. Oggi ci sono bambini iper-competenti che si affacciano in prima elementare sapendo leggere e scrivere ma incapaci di gestire la frustrazione.”.

 

Come lavorate sulle emozioni alla scuola Nuova Educazione?

“I nostri insegnanti sono formati sulla competenza emotiva e sulla diversità come valore per il gruppo. Usiamo diversi strumenti: dalla scelta degli incarichi sociali per gli studenti, con cui stimoliamo di volta in volta a lavorare su punto di forza o di debolezza dei bambini, al rimando al mito, un linguaggio universale che ha forti analogie con le varie tappe del percorso di crescita degli studenti. In prima elementare, per esempio, quando si arriva dall’infanzia e bisogna fare i conti con la staticità, l’attenzione prolungata, la fondazione di un gruppo, il rimando è al mito dei Camuni e alle loro incisioni rupestri. Quando in classe si affronta la civiltà greca, i bambini iniziano a riunirsi in assemblea una volta al mese e, con l’aiuto dell’insegnante che fa da facilitatore, imparano ad ascoltare gli altri, a esprimere le proprie opinioni e a confrontarsi con la diversità. Fondamentale, sul fronte delle emozioni, è la “vita della natura”: facciamo didattica nella natura, per tutto il giorno, una volta al mese con tutti i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria. La natura per noi è un linguaggio che parla all’io profondo dei bambini, perché nella diversità delle specie e nelle fasi di maturazione ci si riconosce nella propria individualità e unicità. Parlare di emozioni vuol dire anche parlare di corpo, di respiro, di contatto con l’altro e questi sono temi che affrontiamo ogni settimana, in orario curriculare, con il teatro, il judo e, nella scuola dell’infanzia, anche con lo yoga”. 

 

Si parla spesso di alleanza scuola-famiglia, come funziona, concretamente, nella vostra scuola?

“Anche i genitori si conoscono, si incontrano e si confrontano in assemblea, sei volte l’anno. Il lavoro sui punti di forza e di debolezza dei bambini è condiviso con la famiglia che è stimolata a lavorare, anche a casa, sulle tappe educative in cui è scandito l’anno scolastico: dalla formazione del gruppo classe cui si lavora in autunno e in inverno al rafforzamento e fioritura individuale che coincide con la primavera fino alla fase finale di maturazione che arriva con la fine delle scuole e l’inizio dell’estate.  Alle famiglie dedichiamo inoltre momenti di formazione e di confronto su temi come il linguaggio inclusivo o l’uso responsabile della tecnologia. La ricerca educativa, insomma, si fa insieme alle mamme e ai papà: che progetto abbiamo per questo bambino? Come lo costruiamo, insieme, nella scuola e nella famiglia? Cosa può portare, e cosa può ricevere, nel gruppo? Invitiamo i genitori a portare in classe laboratori didattici in sintonia con le loro passion e professioni creando delle occasioni preziose per conoscersi meglio tra famiglie e genitori e per osservare il proprio figlio in un contesto diverso da casa”.


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La Preside della scuola Nuova Educazione Michela Lovati
Scopri come funziona l'apprendimento personalizzato nella scuola Nuova Educazione a Milano

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