La gamification è il futuro della scuola
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"Se lo leggi apprendi X, se lo fai apprendi X al quadrato, se lo fai e lo inventi apprendi X al cubo. La gamification è un modo di apprendere più profondo e non necessità di tecnologia.”. Spiega così come la gamification è il futuro dell’apprendimento Matteo Uggeri, Project Manager di progetti sull’innovazione didattica della Fondazione Politecnico di Milano.
Per i ragazzi qual è il futuro dell’apprendimento?
La gamification è sempre più sdoganata. Gamification intesa come approccio ludico intriso di creatività e collaborazione tra le persone. Nell’osservare i bambini che giocano lo vediamo già, nel mondo scolastico ancora troppo poco. Servono strumenti digitali per giocare e mettere in atto momenti ludici per apprendere. E ora si va a due velocità. Ci sono luoghi dove l’innovazione galoppa e altri in cui ristagna e non parlo solo di differenze tra aree o regioni, ma anche nella stessa scuola si può vedere questo gap, a seconda dei gruppi docenti.
Quanto tempo ci vorrà?
C’è sicuramento un’accelerazione. I nostri figli fuori da scuola con il gaming stanno già imparando in modo diverso. I videogiochi e alcuni giochi in scatola insegnano meccanismi di lealtà e a spingere sulla parte collaborativa (penso per esempio a Never Alone o A Way Out). Ma nelle scuole ci sono esperienze all’avanguardia accanto ad altre conservatrici. Non servono tanti strumenti digitali per fare gamification in aula. Partendo da conoscenze tecnologiche di base si fanno laboratori gamificati dove i ragazzi delle scuole inventano videogiochi con gli argomenti di studio.
Come funziona, come si apprende con il gioco?
I ragazzi impareranno vedendo gioco e tecnologia in modo integrato, in modalità collaborativa. Per gamification si intende l’uso di elementi ludici dentro il processo di apprendimento, dalla scuola dell’infanzia al mondo del lavoro. Non solo con i videogiochi, la pratica del gioco può anche essere fisica. E ci sono tanti giochi in scatola in commercio con cui puoi apprendere la storia, giusto per fare un esempio banale.
Facciamo qualche esempio?
This War of Mine è una saga di giochi disponibili sia in digitale che come giochi in scatola e raccontano e fanno vivere a chi li gioca l’esperienza di guerra vissuta dalle vittime. Uno degli ‘episodi’ è ambientato in Ex Jugoslavia ed il giocatore guida un gruppo di profughi che fugge durante la guerra civile. I giocatori si adoperano per uno scopo condiviso. Arriveremo ad apprendere sempre più spesso così anche altri tipi di dinamiche umane.
Oppure nelle scuole vengono spesso usati giochi per l’apprendimento di base delle lingue: LearningApps consente agli insegnanti (o ai ragazzi stessi) di creare mini-giochini dentro i quali, ad esempio, i bimbi possono associare immagini a termini.
E poi c’è la gamification laboratoriale. Si parte da delle domande, si arriva a un’idea di gioco. “Che gioco inventereste per spiegare la proprietà intellettuale? Che videogame ti vorresti avere su questo ambito così dibattuto, che si presta allo storytelling?” In questo modo i ragazzi trasformano le nozioni raccontate dall’insegnante in un gioco. Poi il gioco non necessariamente viene fatto, ma anche solo idearlo in forma di presentazione permette alla parte destra del cervello di azionarsi. Se fai ricordi X al quadrato se lo leggi X, se lo fai e inventi apprendi X al cubo. Non serve la tecnologia, è un modo di apprendere più profondo.
Quali strumenti possono innovare l'apprendimento?
Gli strumenti di e-collaboration sono ideali per permettere di collaborare online in tempo reale; il più diffuso è Google Drive. Sono utili perché attivano i ragazzi e permettono loro di realizzare artefatti digitali significativi. La direzione che sarà perseguita nella formazione è che è più utile utilizzare software in rete, spesso gratuiti, che consentono creare in maniera collaborativa, piuttosto che comprare device e hardware.
Le competenze digitali come influenzeranno l’apprendimento?
Investire nelle competenze digitali significa rendere più liberi. Significa insegnare come sfruttare la tecnologia, non insegnare a fare questo o quello. Noi usiamo il computer da tempo immemore e diamo per scontate tante cose. Ma se chiedi: dove stanno le informazioni che ci ritroviamo sui PC? Come si muovono nella rete? Cosa vuol dire quell’”http” che vediamo ogni giorno? Il 90% delle persone non sa cosa vuol dire. Ma saperlo ti fa accendere delle lampadine. Bisogna riportare insegnanti e ragazzi alla cultura digitale di base, perché conoscere le basi significa saper scegliere gli strumenti e quindi essere indipendenti e apprendere.
Cosa abbiamo imparato dalla pandemia in tema di formazione e apprendimento?
Da un lato che le tecnologie permettono alla formazione di continuare anche non in presenza, seppur in modo spesso solo compensativo. Dall’altro però è apparso evidente il digital divide: l’esclusione di chi non ha strumenti, connessioni o reti performanti. L’esperienza della pandemia ci ha insegnato anche che la tecnologia di per sé serve a ben poco, senza l’investimento in competenze digitali: di cittadini, genitori, alunni, ma soprattutto insegnanti. Va bene suggerire l’uso di strumenti digitali per formare e apprendere, ma è fondamentale raccontare alle persone rischi e potenzialità e insegnare ad auto formarsi.
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